Parliamo dei dialetti italiani: si tratta di bilinguismo?
Pregiudizi infondati
Quando le persone, estranei, parenti e amici, si accorgono che parlo in inglese con i miei figli, mi vengono fatte le obiezioni più disparate. Ma l’obiezione più frequente è: “Ma non hai paura che facciano confusione con l’italiano?”
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Non mi dilungo su quella che viene detta, in gergo tecnico “mescolanza dei codici”, vorrei concentrarmi invece su quello che spesse volte rispondo a questa obiezione: “ma anche tu sei bilingue, mica fai confusione, vero?”, lasciando il mio interlocutore piuttosto spiazzato. Se non volete credere a me ecco qualche dato che potrebbe convincervi: Parlare i dialetti fa bene al cervello come il bilinguismo.
Come usiamo il dialetto
Mi spiego: per tutte le persone che sono nate in Italia è piuttosto naturale parlare o anche solo essere in grado di capire il proprio dialetto regionale. Noi viviamo nel Veneto, una regione in cui il dialetto è piuttosto sentito, non solo come gergo, ma un po’ anche come una sorta di etichetta di appartenenza. Qui il dialetto è talmente forte da debordare spesso e volentieri dall’ambito familiare, per invadere il campo del lavoro e dei colloqui tra estranei. Il dialetto pervade a tal punto il tessuto delle interazioni sociali da venire adottato in parte anche dai non veneti: la mia collega pugliese, sposata con un veneto, spesso se ne esce con degli intercalare in dialetto, la ragazza albanese che lavora nel bar sotto all’ufficio scherza e fa battute coi clienti in dialetto, mio marito, di origini emiliane, ha dovuto imparare a masticarlo un po’ per integrarsi meglio a lavoro.
Il dialetto è una lingua vera e propria
Il fatto è che quasi nessuno percepisce il dialetto come quello che veramente è: una lingua a tutti gli effetti, con una sua grammatica e una sua sintassi. Eppure nessuno ricorda di averlo mai studiato, nessuno ricorda che gli sia mai stato insegnato a parlare dialetto, come nessuno di noi ha mai studiato l’italiano prima di andare a scuola. Eppure dai 4 anni in poi la maggior parte dei bambini italiani padroneggia piuttosto bene la propria lingua!
Il cervello bilingue
Ecco, il meccanismo è proprio questo: da bambini (tra gli 0 e i 6 anni soprattutto, ma anche più avanti) è possibile apprendere le lingue senza sforzo, in modo naturale, come si impara a camminare e poi a correre. Ma c’è un’altra cosa importante che ci insegna l’esempio del dialetto: imparare una lingua in età infantile non funziona allo stesso modo di quando lo si fa in età adulta.
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La “modalità lingua madre”
Un caro professore di Linguistica Applicata (materia tra l’altro decisamente ostica) ad una lezione ci disse: “Nella prima infanzia il cervello funziona in modalità lingua madre”, che, per quanto riguarda l’apprendimento delle lingue, è diversa dalla modalità “lingua straniera”. Gli studi su questo tema hanno dimostrato che il cervello di un bambino è perfettamente in grado di gestire due o più lingue in modo praticamente spontaneo, basta che abbia sufficienti occasioni di sentirle parlare entrambe e, soprattutto, che abbia una sufficiente motivazione ad usarle.
La mia mamma ha voluto “salvarmi” dal dialetto veneto, ma non ci è riuscita!
I miei genitori hanno deciso che io non avrei dovuto parlare il dialetto. Eh sì sembra strano, eppure ha funzionato così. Mia mamma è cresciuta con la convinzione che il suo parlare il dialetto sia stata la causa delle grosse difficoltà che si è trovata ad affrontare a scuola con l’italiano come materia scolastica. I suoi temi erano costantemente farciti di errori di ortografia e i suoi dubbi sulle “doppie” non hanno mai smesso di tormentarla.
Un’educazione da monolingue: ecco il risultato
Forti di questa convinzione i miei genitori hanno parlato sempre in italiano con me, relegando il dialetto alle conversazioni tra loro due. Piccola premessa: mio padre è veronese e mia madre è vicentina, quindi stiamo parlando di una situazione piuttosto ingarbugliata. Due dialetti diversi, per quanto veneti, parlati tra mamma e papà, e l’italiano usato solo per parlare con me. La cosa sorprendente è che alla fine il dialetto veneto l’ho imparato lo stesso. Mi è bastato sentire costantemente i miei genitori che lo parlavano per essere in grado di capire perfettamente qualsiasi conversazione in dialetto. Parlarlo è stato meno immediato, ma è bastato cominciare a lavorare, avere quotidianamente a che fare con persone che spesso lo parlavano, anche mischiato all’italiano, ed ecco il miracolo! Ebbene sì, al mio curriculum potrei aggiungere anche questa lingua, anche se parlata non proprio perfettamente.
Il bilinguismo perfetto è un mito: non esiste!
Il fatto è che mia madre aveva ragione: sì il parlare dialetto è stata la causa dei suoi problemi con l’italiano. All’ingresso delle scuola elementare, mia madre era sì bilingue, come la maggior parte dei bambini italiani, ma la sua prima lingua era il dialetto! Ebbene sì, sfatiamo questo mito: i casi di persone che parlano due lingue perfettamente allo stesso livello sono più unici che rari. Se decidete di sfruttare il meraviglioso e prezioso periodo della prima infanzia per far adottare una seconda o una terza lingua ai vostri bambini, se vivete in Italia, l’italiano rimarrà sempre la loro prima lingua. Ciò non toglie che, essere sottoposti ad una lingua dagli 0 ai 6 anni permetterà, sempre che la lingua non venga poi abbandonata, di raggiungere uno straordinario livello di padronanza anche nella seconda o nella terza lingua.
Voglio chiudere questo strano ragionamento con una domanda un po’ provocatoria: chi di voi non vorrebbe parlare una qualsiasi lingua straniera allo stesso livello con cui parla il proprio dialetto regionale?