Bilingui fuori dal contesto familiare
Sì, no, come?
Questa tematica, prima o poi, affligge tutti i genitori delle famiglie bilingui. Come comportarsi, dal punto di vista linguistico, quando attorno abbiamo altri interlocutori che non conoscono la seconda lingua?
Ci sono varie teorie al proposito, ma anche tematiche di carattere pratico ed emotivo da non sottovalutare. Ecco quindi un po’ di esperienze personali e qualche consiglio su come gestire il rapporto con la seconda lingua quando siamo in pubblico.
La teoria del parlare sempre e comunque la seconda lingua
Secondo alcuni studiosi di bilinguismo, per ottenere dei risultati veramente soddisfacenti, è necessario che il genitore che parla la seconda lingua sia estremamente coerente. Questo comporta l’uso esclusivo della seconda lingua quando ci si rivolge al bambino, spingendosi fino a fingere di non capire quando il bambino si rivolge nella prima lingua al genitore di lingua 2. Personalmente ho sempre pensato che questo approccio fosse troppo estremo per noi. Non appena il bambino è in grado di capire cosa gli succede intorno, si renderà conto che il genitore di lingua 2 capisce perfettamente anche la lingua 1, a meno che non vogliate fare orecchie da mercante anche con il panettiere e il giornalaio! Fingere di non capire lo vedo più pericoloso per il rapporto fiduciario che ci deve essere con il bambino, che proficuo ai fini dell’acquisizione della seconda lingua. Ma volendo adottare un regime più flessibile come ci dobbiamo comportare?
Parlare la seconda lingua anche in pubblico, ma come?
Nei negozi, al bar, sul tram, perché no? Sarà un modo per inserire tutta una serie di vocaboli che non avete occasione di impiegare all’interno delle mura domestiche. All’inizio può non sembrare facile passare in continuazione da una lingua all’altra, per parlare con il bambino e poi con il barista, ma vi assicuro che vi ci abituerete in fretta. Finirete per mischiare prima e seconda lingua molto più di quel che succede a casa. E non è un problema. In pubblico vostra figlia o vostro figlio difficilmente vi risponderanno nella seconda lingua. Anche questo va bene. Ad esempio, se siete al parco e i bambini sono impegnati in giochi tra amici, il bambino sarà in modalità lingua 1: è già impegnativo per voi passare con scioltezza da una lingua all’altra, non potete pretenderlo da loro.
La comunicazione deve essere sempre inclusiva
In presenza di interlocutori che non capiscono la seconda lingua, soprattutto di altri bambini, vi consiglio di passare all’utilizzo della prima lingua. Ai bambini non piace sentirsi troppo diversi, speciali sì, diversi no. Inserire un gap comunicativo in una situazione articolata e di gruppo, oltre ad avere scarsi benefici ai fini dell’esposizione alla seconda lingua, rischia di generare una reazione di rifiuto nella bambina o nel bambino, cosa assolutamente da evitare.
Il pudore del genitore di seconda lingua
Una sorta di imbarazzo o pudore ad esprimersi nella seconda lingua in pubblico è certamente una caratteristica prevalentemente dei genitori non nativi. Ma non solo. So di progetti di bilinguismo falliti o mai partiti anche di genitori madrelingua. Quando ho chiesto alla mia amica Ljuba come fosse possibile che non avesse insegnato il russo a sua figlia, mi ha risposto che, dopo 25 anni in Italia, parlare russo non le viene assolutamente naturale: “penso in italiano, parlo italiano tutto il giorno, perfino sogno in italiano. Parlare russo con lei mi è sempre sembrato strano, e alla fine ho smesso”. Lucia, che vive da 20 anni nel Regno Unito non è riuscita ad insegnare l’italiano a suo figlio: “non frequentiamo altri italiani, io stessa non ho mai occasione di parlarlo. Alla fine ho pensato che era inutile che imparasse una lingua per parlare solo con me!”.
Il giudizio degli altri
Se poi si è genitori non nativi come me, le cose si complicano. Se anche molti di noi usano la seconda lingua giornalmente per lavoro, o l’hanno studiata per anni, per noi si tratta pur sempre di una lingua straniera. Soprattutto per lingue ad ampia diffusione, come l’inglese, lo spagnolo o il francese, potremmo essere preoccupati del giudizio degli altri, sulla nostra pronuncia, sul nostro accento, perfino su come ci esprimiamo. E questi giudizi potrebbero anche arrivare, perché la gente si sente spesso in diritto di dire la sua. Una volta, al mare un papà ha avuto da ridire perché chiamavo la paletta “shovel”, mentre a sua figlia la maestra aveva insegnato che si diceva “spade”. Il mio consiglio è molto semplice: fregatevene! Guardate al vostro progetto d’insieme. Lo dico spesso a chi mi dice “non sarei in grado, non parlo l’inglese perfettamente”. E allora? Ci hai messo anni di studio e lavoro per arrivare ad esprimerti, capire e farti capire in una lingua straniera. Se anche il risultato sarà dare a tuo figlio la tua competenza, non gli avrai risparmiato anni di studio e fatica? Quindi procedete e non vi curate di loro, e se i miei figli finiranno per dire “shovel” per qualsiasi tipo di pala, me ne farò una ragione!
Se parlare in pubblico proprio non mi viene
Parlare la seconda lingua in pubblico può essere un ostacolo insormontabile. Alcuni genitori proprio non si sentono a proprio agio, non viene naturale. Non dovete certo permettere a questo ostacolo di minare il vostro progetto bilingue. Il metodo MLAH (Minority Language At Home) prevede proprio che l’uso della seconda lingua sia limitato alle mure domestiche. Tenete sempre a mente che lingua e comunicazione sono indissolubili. Pensate alla comunicazione con vostra figlia o figlio come ad un fiume che deve scorrere portando con sé tutte le emozioni e le intenzioni che volete esprimere. Se il fiume viene ingombrato da detriti o viene ostacolato in qualsiasi modo, il passaggio delle emozioni diventa difficile e tortuoso. Non è questo il risultato che vogliamo ottenere. Quindi toglete tutti i detriti dal vostro fiume di comunicazione, e se il parlare in pubblico la seconda lingua deve essere un ostacolo, toglietelo di mezzo.
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