Bilinguismo
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Quando parlerà nella seconda lingua?

output

Si chiama “output”: ecco perché non è un bene sforzare i bambini nella produzione linguistica

Dopo tanti sforzi per trasmettere il meraviglioso regalo del bilinguismo, sentire la propria bambina o il proprio bambino parlare finalmente nella seconda lingua, è la più agognata delle gratificazioni per un genitore. Eppure è una soddisfazione che può tardare parecchio ad arrivare, tanto che alcuni rischiano di perdere la speranza. In questo post cerchiamo di capire cosa possiamo ragionevolmente aspettarci in termini di output linguistico, ovvero sentire il pargolo che si esprime anche nella seconda lingua!

L’elemento risparmio energetico

I bambini, soprattutto se piccoli, sono spesso guidati nelle loro scelte da un principio di efficenza e risparmio di energie. Qualcuno la chiamerebbe volgarmente pigrizia. A me non piace questo termine, perché implica una connotazione morale negativa, che nel caso dei bambini non ha un gran senso. Per quanto riguarda la produzione linguistica questo principio si esprime sostanzialmente nel non sforzarsi di parlare se non è indispensabile e necessario. Vi è mai capitato di conoscere quei bambini un po’ lenti nella produzione linguistica, che si fanno perfettamente capire senza bisogno di parlare? Finche le esigenze non sono tali da costringerli a verbalizzare le loro richieste, questi bambini non sentono la necessità di esprimersi a parole. Nel caso di una seconda lingua il meccanismo è esattamente lo stesso. Se il bambino vive in un ambiente dove tutti lo capiscono perfettamente nella prima lingua, non ha nessun motivo di sforzarsi a parlare la seconda lingua, ovvero di produrre un output.

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Una questione di fiducia

Il problema riguarda sostanzialmente il genitore che espone il bambino alla seconda lingua. A meno che non viviate in un contesto sociale bilingue (in Alto Adige, in Lussemburgo o in Quebec ad esempio), sarete immersi nella prima lingua. Il fardello dell’esposizione alla seconda lingua sarà tutto in capo ad uno o entrambi i genitori. Alcuni consulenti ed esperti in bilinguismo in questi casi danno un consiglio decisamente bizzarro. Il genitore dovrebbe fingere di non capire, in modo da forzare l’output, ovvero costringere il bambino ad esprimersi nella seconda lingua. Ebbene, sappiate che personalmente non approvo, e che non ho mai usato questo sistema. Partiamo dal presupposto che i bambini sono piccoli, non stupidi. Sarà impossibile per i genitori fingere di non capire amici, estranei, colleghi, o anche il partner che parlano la prima lingua. A mio avviso un rifiuto di ascolto e comprensione indirizzato in modo esclusivo al bambino crea un cortocircuito che sarebbe meglio evitare. Insomma, in questo caso il gioco non vale la candela. Neanche il regalo di una seconda lingua vale tanto quanto il rapporto di fiducia incondizionata che un bambino deve avere nei confronti di un genitore.

L’insistenza non paga

Come vi ho detto potreste dover aspettare parecchio perché i vostri bambini vi regalino la soddisfazione di sentirli parlare nella seconda lingua. Ovviamente avere a portata di mano un famigliare, o un conoscente, con il quale per il bambino sia indispensabile usare la seconda lingua è un grande vantaggio. Spesso risulta essere l’elemento fondamentale per un progetto bilingue di successo. Anche un viaggio, seppur breve, in un paese dove si parla la seconda lingua è molto efficace. Ma anche qui, non sperate che la magia continui una volta tornati a casa. E’ molto probabile che i bambini tornino a rispondervi nella prima lingua.

In questi casi insistere può diventare contro producente. Vi troverete con bambini che si rifiutano categoricamente di parlare la seconda lingua. Neanche via Skype con il nonno che non capisce una parola di italiano. Si chiama tecnicamente “innalzamento del filtro affettivo“. L’insistenza carica di aspettative e di emozioni negative l’esprimersi nella seconda lingua, alla fine, bloccando l’output. Non permettete alla frustrazione di prendere il sopravvento. Prendetela con filosofia e soprattutto fate in modo che quella di esprimersi o meno nella seconda lingua sia una sua scelta, non vostra.

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L’elemento fondamentale è la comprensione dell’input

Alcuni genitori mi dicono scorati: “capisce tutto quello che gli si dice, ma di parlare non ne vuole proprio sapere!”. In questo caso è necessario focalizzarsi invece proprio su quel “capisce tutto”. Già in questo c’è tutta la meraviglia del cervello bilingue dei bambini. Questi genitori lo dicono come se fosse una cosa di poco conto, ma non lo è affatto. Quando c’è la comprensione dell’input abbiamo fatto il 70% del nostro percorso nel bilinguismo. Non solo, la comprensione permette anche l’ulteriore crescita linguistica in autonomia attraverso strumenti come la TV e la lettura nella seconda lingua. La settimana scorsa un’amica mi ha detto che la figlia più grande legge libri in tedesco anche più complessi di quelli in italiano. E’ perché ha sempre usato la lettura per migliorare il suo tedesco, mi ha confidato con mal celato orgoglio!

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Il fattore tempo

Alla fine è una questione di tempo. Come prima cosa mettete ogni aspettativa di output nel cassetto almeno fino ai 3-4 anni. Sempre ovviamente che non abbiate quelle fortunate situazioni che implicano viaggi frequenti nel paese dove si parla la seconda lingua, o famigliari conviventi che non capiscono la prima lingua. Altrimenti, soprattutto se siete un genitore non nativo come me, impegnatevi a costruire uno status per la seconda lingua. Fate in modo che i vostri bambini siano consapevoli dell’importanza di parlare e conoscere più di una lingua. Fateli sentire speciali rispetto ai coetanei monolingue, e fate capire che si tratta di una dote che va coltivata, giorno per giorno. Fino ai 5-6 anni prevarrà il bisogno di scegliere autonomamente se e come esprimersi nella seconda lingua. Ma verso i 7-8 anni i semi che avrete piantato produrranno i loro frutti. A quel punto, se li avrete resi sufficientemente consapevoli, i bambini capiranno l’importanza di esercitarsi e di tenere viva la seconda lingua nella quotidianità.

E comunque non è mai troppo tardi. In una delle sue interviste, il famoso linguista Stephen Krashen ha raccontato la vicenda di un collega, uno studioso tedesco. Trasferitosi in Canada per lavoro con la famiglia, gli sforzi pluriennali per trasmettere il tedesco alla figlia si sono sempre scontrati con il rifiuto categorico di parlarlo da parte della bambina. All’età di 17 anni la figlia accompagnò il padre in Germania per un convegno. Non immaginate la sua sorpresa nel sentire la figlia parlare tedesco in modo perfetto. Quello che serviva era solo l’incentivo giusto alla comunicazione: ad una cena si trovò seduta a fianco un giovanotto decisamente interessante! Non voglio spaventarvi (solo un pochino!), ma magari questo aneddoto vi aiuterà a mettere le cose più … in prospettiva.

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