Rendere l’acquisizione delle lingue spontanea ed efficace usando le storie
Il momento migliore per imparare le lingue va da 0 a 10-12 anni. Questa è l’età in cui il cervello bilingue permette al bambino di acquisire una seconda lingua usando gli stessi, o alcuni, strumenti che ha usato per acquisire la lingua madre. Per questo l’acquisizione precoce di più lingue, criminalmente trascurata nel nostro paese, sarebbe così importante nella scuola dell’infanzia e nella scuola primaria. Perché insegnare quello che i bambini potrebbero acquisire senza fatica e divertendosi? Sempre più esperti identificano nello storytelling lo strumento più efficace per rendere efficiente e naturale l’acquisizione della seconda lingua. Proviamo a vedere come e perché.
Insegnare le lingue: una disciplina recente
Quando l’istruzione era solo per nobili, nessuno si sarebbe sognato di insegnare a un bambino una lingua straniera. Eppure questi bambini, nella loro vita avrebbero avuto bisogno di parlare più lingue. Avrebbero avuto a che fare con le diplomazie europee. Avrebbero probabilmente vissuto all’estero a seguito di matrimoni più o meno combinati tra nobili casate. Senza porsi mai veramente il problema, i nobili rampolli avevano istitutori stranieri che insegnavano loro matematica, scienze, letteratura, arte usando le loro lingue d’origine. Bastava l’esposizione quotidiana fin da piccoli a più lingue, perché i bambini fossero in grado di acquisirle contemporaneamente alla lingua madre.
Fu solo nell’800, all’avvento dell’istruzione di massa con la rivoluzione industriale, che alla necessità di insegnare le lingue a un gran numero di allievi, si pensò di applicare alle lingue vive lo stesso metodo utilizzato per studiare le lingue morte. Così tutti noi, che abbiamo studiato in tempi più o meno recenti, abbiamo imparato le lingue a scuola partendo da due sostanziali capisaldi: la grammatica e la memorizzazione dei vocaboli, così come si era usi fare per studiare il greco antico e il latino.
Cosa c’è che non va nel metodo tradizionale
Ma non è così che in natura si apprendono le lingue. Per lo studio della grammatica e la memorizzazione dei vocaboli è necessario usare la memoria esplicita. Si tratta di quel tipo di memoria che fa capo alla nostra capacità di astrazione. La memoria esplicita si usa per memorizzare liste e regole e ci permette di ricordare gli eventi in ordine cronologico. Questo tipo di memoria è quasi assente nei bambini più piccoli, e si sviluppa completamente solo verso i 12 anni. Per acquisire la lingua madre i bambini utilizzano la memoria implicita, la stessa che si usa per imparare ad andare in bicicletta. Il metodo tradizionale per insegnare le lingue straniere fa ricorso ad una facoltà della memoria che i bambini semplicemente non hanno! Non c’è da meravigliarsi se i risultati di acquisizione della seconda lingua, soprattutto alla primaria, sono spesso così deludenti.
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Lo storytelling per acquisire inconsapevolmente una lingua autentica
Come si può invece insegnare una lingua facendo ricorso alla memoria implicita? E’ possibile migliorare l’acquisizione della seconda lingua cambiando impostazione? La famosa frase del pedagogista Ignacio Estrada “If a child can’t learn the way we teach, maybe we should teach the way they learn” dovrebbe farci pensare. Se i bambini imparano attraverso la memoria implicita, dobbiamo fare in modo che facciano esperienza della lingua, anziché pretendere che la studino. Molti linguisti si sono interrogati su quali siano gli stimoli più adatti a facilitare l’acquisizione linguistica tramite l’esperienza. Stephen Krashen, uno dei più interessanti studiosi di glottodidattica, sostiene che lo storytelling possa costituire l’input ideale per permettere ai bambini (ma anche agli adulti) di acquisire una lingua straniera assecondando il funzionamento del cervello, anziché di impararla attraverso i metodi di studio tradizionali.
Che cosa c’è in più nelle storie
Siamo degli “storytelling animal“, così ci definisce lo scrittore Jonathan Gottsehall. L’istinto di narrare attraversa i secoli e non ci abbandona mai: dalle storie ascoltate attorno al focolare, passando per libri, la musica e il teatro, per arrivare a film, serie tv e videogiochi. Siamo costantemente immersi nelle storie. L’input ideale, come dice Krashen, deve essere interessante e soprattutto rilevante per chi ascolta. Non è facile stimolare l’interesse di un bambino con “the pen is on the table”, se poi ci lanciamo nell’analisi di grammatica e vocaboli nella frase li perdiamo per sempre!
Un bel libro di letteratura per l’infanzia, divertente, commovente, o un po’ pauroso, con bellissime illustrazioni, è tutt’altra cosa. Stimola l’interesse, parla al bambino delle sue emozioni, della vita che sta per vivere. Ogni genitore che abbia avuto dei bambini sulle ginocchia e un libro aperto davanti può testimoniarlo. Le storie sono delle calamite irresistibili per l’attenzione e l’interesse, vogliono essere lette più e più volte, vengono imparate a memoria senza nemmeno volerlo, insegnano parole diverse dal linguaggio parlato, interessano, intrattengono, possiedono una magia irripetibile.

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I picturebook: perché sono l’input ideale
Sempre citando Krashen, l’input ideale deve essere comprensibile. E come è possibile rendere l’input comprensibile quando si tratta di un libro o di una storia? La parola magica è “immagini”, il linguaggio visivo è universale. Nei picturebook, altrimenti detti albi illustrati, l’immagine è un ulteriore linguaggio, raffinato e sofisticato, che non lascia nulla al caso. E’ il complemento perfetto al linguaggio verbale. L’immagine racconta dove la parola non è ancora arrivata, aiuta a memorizzare il suono e il suo significato, stimola l’interesse di chi guarda e aiuta a creare immagini mentali.
Ovviamente non c’è bisogno che vi fidiate di me. Ci sono studiose che da anni analizzano i vantaggi di questo sistema di insegnamento, lo praticano, e danno utilissimi consigli, su libri e metodologie, agli insegnanti che vogliano cimentarsi con questo metodo. Si tratta di Gail Ellis, Tatia Gruenbaum, Sandie Mourão e Anneta Sadowska. Nel 2017 hanno creato il collettivo PEPELT per condividere la loro esperienza nell’utilizzo dei picturebook per l’insegnamento dell’inglese come seconda lingua. Questo ovviamente non vale solamente per l’insegnamento, ma anche per tutti i genitori che vogliano crescere bambini bilingui, o supportare l’apprendimento della seconda lingua. I picturebook, se usati in modo adeguato, possono essere la vostra arma segreta per un’esposizione naturale e di qualità alla seconda lingua.
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