Perché in Italia la scuola non riesce ad insegnare l’inglese ai bambini
In questi giorni ha fatto notizia la lettera aperta di una famiglia finlandese che ha deciso di lasciare la Sicilia. A soli due mesi dal trasferimento le enormi differenze tra il sistema scolastico italiano e quello di matrice nordica ha fatto desistere i genitori, che hanno optato per la Spagna. Oltre all’utilissimo spunto di riflessione per i nostri governanti sullo stato della scuola italiana, vorrei parlarvi in particolare della frase del figlio quattordicenne: “conosco l’inglese meglio dell’insegnante di inglese stesso”.
Inutile nascondersi dietro ad un dito. Il livello di comprensione e proficiency dei ragazzi italiani è decisamente più basso dei compagni europei, e c’è un vero abisso se comparati ai compagni dei paesi nordici. Eppure anche i bambini italiani cominciano a studiare inglese a sei anni, molti cominciano già alla scuola dell’infanzia. Come è possibile questa differenza?
Coda di paglia
La lettera aperta della mamma finlandese ha decisamente toccato un nervo scoperto. Politici ed opinionisti si stracciano le vesti su finanziamenti insufficienti, edifici fatiscenti e didattica obsoleta. Ma se la critica viene da uno straniero “brucia” molto di più! Nei giorni in cui la pittrice finlandese scriveva sconsolata di bambini costretti a stare ore seduti, e insegnanti che sanno l’inglese peggio del figlio, un famoso giornalista nazionale titolava “La scuola deve insegnare, non dare la felicità”. Nel suo articolo chiedeva addirittura di fermare il Preside di un Istituto del padovano, Alfonso D’Ambrosio. Sotto accusa la sua idea di una scuola basata sulla Felicità Interna Lorda. Che si possa imparare meglio se si è felici, invece che a suon di umiliazioni e competizione, pare un’idea talmente pericolosa da dover essere spenta sul nascere. Diciamocelo, la scuola italiana è decisamente diversa da quella finlandese, nell’approccio e purtroppo anche nei risultati.
Ma cerchiamo di capire nello specifico perchè spesso (non sempre, ma troppo) i nostri bambini faticano ad acquisire quel pre-requisito fondamentale per la partecipazione alla vita economica e culturale globale che è l’inglese.
Una cultura scolastica che non supporta l’insegnamento della seconda lingua
E’ risaputo che un inizio precoce nell’educazione linguistica è imprescindibile per avere dei buoni risultati. In Italia moltissime scuole dell’infanzia non hanno personale interno che abbia una competenza linguistica sufficiente per esporre i bambini quotidianamente all’inglese. Alla Scuola Primaria le cose solitamente non migliorano, anzi. Per insegnare inglese non vengono richieste competenze specifiche. Spesso docenti che non si sentono adeguatamente preparati si trovano a dover insegnare una lingua nella quale si sentono carenti.
Anche quando gli insegnanti hanno una preparazione specifica e un’ottima conoscenza dell’inglese, hanno a disposizione poche ore. Spesso non riescono a garantire continuità a causa dell’estrema mobilità soprattutto degli insegnanti più giovani, che spesso non sono di ruolo. In altri paesi europei l’approccio è decisamente diverso. Pensiamo soltanto che nella vicina Spagna il programma Auxiliares de Conversación, prevede un lettore madrelingua inglese che affianchi l’insegnante in ogni scuola pubblica del paese! Nel sistema scolastico finlandese le lingue, non solo l’inglese, si imparano sempre più precocemente, con programmi di immersione (language showers e language baths) a partire addirittura dai nidi per proseguire poi all’infanzia.

Un mito disinformato e semplicistico
L’idea di fondo, tanto sbagliata quanto ingenua, è che l’inglese che serve ai bambini sia semplice, e che per insegnarlo non serva un livello avanzato o nozioni di didattica delle lingue. Così si decide di ignorare la complessità dei meccanismi dell’acquisizione linguistica nei bambini. La necessità di un’esposizione quotidiana all’inglese (meglio 20 minuti al giorno che 1 ora alla settimana), l’esigenza di privilegiare l’uso della memoria implicita su quella esplicita, il bisogno di fare esperienza diretta della lingua sono concetti sconosciuti alla programmazione scolastica. Soprattutto si fa finta che il ruolo dell’insegnate e la sua preparazione non siano fattori cruciali e determinanti per ottenere buoni risultati.
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La realtà dell’insegnamento dell’inglese …
Ed è così che si finisce per sprecare il momento migliore per l’acquisizione linguistica (da 0 a 10-11 anni). Le ore di inglese sono solitamente relegate al venerdì pomeriggio, quando i bambini sono troppo stanchi per concentrarsi. La didattica è incentrata sull’imparare liste di vocaboli inglesi, che si dimenticano poco dopo perchè non vengono usati nella pratica. O peggio, si comincia studiando la grammatica, che richiede l’uso della memoria esplicita e innalza il “filtro affettivo“, ovvero l’incapacità di parlare per la paura di sbagliare. Non c’è da meravigliarsi se spesso, all’inizio della Secondaria, il livello di comprensione e la capacità di esprimersi sono limitati se non nulli.
Gli insegnanti sono stritolati tra le proprie competenze ridotte e le alte aspettative dei genitori. A fronte di un elevato status dato all’apprendimento dell’inglese, lo status dell’insegnante di inglese è tra i più bassi tra le materie di studio. Dietro ad inglese, forse, troviamo solamente arte e musica! L’opinione pubblica e la politica mettono grande attenzione all’annoso problema di bambini e ragazzi che dopo anni di inglese non sono in grado di rispondere a “What’s your name?”, salvo non proporre nessuna soluzione percorribile, tanto meno proponendo interventi concreti o investimenti.
… e come dovrebbe essere
Un grande esperto di bilinguismo come Franco Fabbro dice “le lingue non si devono ‘insegnare’ ma si devono utilizzare. Una lingua straniera non deve mai diventare nella scuola di base una materia di studio, ma piuttosto un ‘VEICOLO’ per comunicare e per mediare esperienze educative”.
Per avere bambini che parlano e capiscono l’inglese, nella Scuola dell’Infanzia e nella Scuola Primaria questa lingua dovrebbe diventare centrale, l’esposizione dovrebbe essere quotidiana, la competenza dell’insegnante non può essere sottovalutata. Gli insegnanti devono avere a disposizione corsi di aggiornamento dedicati. È necessario essere a conoscenza dei meccanismi di acquisizione linguistica nei bambini, conoscere i metodi di insegnamento che mettono al centro la lingua, come lo storytelling, avere dimestichezza con l’uso degli strumenti multimediali, essere consapevoli dell’interazione tra lingua, corpo e movimento per stimolare la memoria linguistica.
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Per migliorare sarà fondamentale un netto cambiamento culturale sull’insegnamento delle lingue in generale, e non sarà per nulla facile. Soprattutto evitiamo, come hanno fatto molti commentatori, di pensare di cavarcela dicendo che la famiglia finlandese poteva anche restarsene in Finlandia, o che lì i finanziamenti alla scuola sono il doppio dell’Italia. Cerchiamo di capire che i problemi ci sono! Non riguardano certo solo l’inglese, ma questo è il deficit che risulta forse più evidente non appena i nostri ragazzi varcano i confini nazionali. Raccontaci la tua esperienza, commentando l’articolo o sulla nostra pagina Facebook.
Alcuni spunti e notizie per questo articolo sono stati tratti da Teachinig English to young Learners di Janice Bland.