Perché le lingue non si imparano parlando
Molti genitori che crescono bambini bilingui si lamentano spesso che il bambino non ne voglia sapere di parlare nella seconda lingua. Lo vedete lo sguardo scorato di mamme e papà? “Per capire capisce tutto, eh, ma parlare … niente, al massimo qualche parola”.
L’insegnamento delle lingue straniere a scuola è tutto concentrato sul parlare: anche qui, genitori sconsolati scuotono la testa. Questi bambini non spiccicano due parole in croce di inglese: 5 anni di scuola elementare per sapere a mala pena i colori, i numeri fino a 10, i nomi del materiale scolastico, forse le parti del corpo e qualche capo di abbigliamento.
Il fatto è che tutte queste obiezioni sono basate su un assunto sbagliato, ovvero che le lingue si imparino parlando. Proviamo a vedere perchè per far funzionare il cervello bilingue è necessario prima di tutto capire il proprio interlocutore.
Le lingue si imparano ascoltando
Un bambino di un anno può essere in grado di indicare il coccodrillo verde su un bel libro cartonato se gli si chiede “mostrami il coccodrillo verde”! Il fatto che potrebbe non essere in grado di dire correttamente “coccodrillo verde” è considerato come cosa piuttosto nella norma.
Certo, perchè ogni bambino che acquisisce un linguaggio lo fa prima ascoltando, e non si pretende certo che si esprima correttamente prima di essere in grado di capire quello che gli viene detto. La fase di ascolto dura anni. I bambini vanno per tentativi e si avventurano coraggiosi nell’impresa di parlare. Quei meravigliosi errori di pronuncia e di sintassi rimangono per i genitori indelebili ricordi di un tempo meraviglioso che scappa via troppo velocemente.
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Cosa accade con la seconda lingua
Quando esponiamo un bambino a più di una lingua contemporaneamente non dobbiamo mai dimenticare che non ci saranno mai due prime lingue. La lingua a cui il bambino è esposto per più tempo nel corso della giornata (generalmente la lingua della comunità in cui si vive) diventerà la prima lingua. La lingua che si parla in famiglia, o quella a cui lo espone uno dei genitori diventerà necessariamente la seconda lingua. Le dinamiche dell’acquisizione del linguaggio però sono esattamente le stesse: il bambino impara ascoltando per capire il messaggio! Dato che l’esposizione alla seconda lingua è inferiore in termini di tempo e di necessità di esprimersi, la fase di output, ovvero quella del parlare, può avvenire molto dopo, o avvenire solamente nel momento in cui sarà necessario.

Capire 80% – parlare 20%
Se dobbiamo dare un valore numerico all’importanza delle due componenti principali dell’acquisizione linguistica, direi che parlare vale solo il 20%. Quando un genitore dice “capisce tutto, ma …”, in realtà ha già fatto l’80% del lavoro, sicuramente la parte fondamentale! Spesso i bambini bilingui non sentono la necessità di parlare nella seconda lingua, perchè sanno benissimo che il loro interlocutore (il genitore che lo espone alla lingua 2) capisce perfettamente anche la prima lingua. Ma non crediate che la seconda lingua non ci sia: se il vostro pargolo capisce tutto quello che gli viene detto nella seconda lingua, basterà trovarsi nella situazione in cui nessuno lo capisce se non parla la seconda lingua, et voilà, come per magia arriverà anche la fase di output, ovvero il parlare.
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E per studiare una seconda lingua?
Cosa succede quando la seconda lingua si impara a scuola, o si studia da adulti? Anche in questo caso sarebbe utile assecondare le modalità di apprendimento del cervello invece di voler sovvertire l’ordine naturale di acquisizione di una lingua. Purtroppo a scuola si forza la fase di output, senza che si sia adeguatamente impostata la fase di input. Invece di impostare la didattica sull’ascolto (che sia tramite lo storytelling, video, musica o quant’altro) si punta sulla memorizzazione di vocaboli e frasi decontestualizzate, con la pretesa che bambini e ragazzi ad un certo punto riescano a parlare nella seconda lingua.
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Ma in questo caso bruciare le tappe può essere addirittura controproducente. Forzare lo studente a parlare può irrimediabilmente innalzare il filtro affettivo: la paura di sbagliare pronuncia o di fare errori grammaticali diventa talmente forte, che lo studente si blocca e non riesce ad esprimersi nella seconda lingua.

Un consiglio da linguista
Pertanto un consiglio a tutti i genitori che stanno impostando un’educazione bilingue, e anche a tutti i genitori e gli insegnanti che hanno la responsabilità di bambini e studenti che apprendono una seconda lingua. Non forzate mai la fase di output, non fate eccessive pressioni per sforzare il bambino a parlare. Impegnatevi piuttosto ad offrire ai vostri bambini o studenti input di qualità in abbondanza. Parlate con loro senza preoccuparvi se vi rispondono nella prima lingua, anzi, siatene fieri: vuol dire che hanno capito perfettamente! Riempite le case di libri interessanti ed attraenti nella seconda lingua, leggete fiabe, albi illustrati o romanzi nella seconda lingua. E quando si accende la TV, fate in modo che sia nella lingua 2. In questo modo la seconda lingua verrà sempre collegata ad attività ed eventi piacevoli, e compenserete il difetto di esposizione, ovvero il tempo inferiore che le dedicate rispetto alla lingua dominante.